Spesso mi trovo a lavorare con persone che mi portano stati di profonda sofferenza e dolore. A volte si tratta di traumi o vissuti da elaborare, perdite da dover accettare e per perdita non si intende soltanto la morte di qualcuno, ma anche la fine di una relazione sentimentale, la perdita del lavoro, la perdita del proprio status di salute così come lo conoscevamo finora in seguito ad una diagnosi importante.
Quando spiego alle persone che giungono in studio o che iniziano con me una terapia online come lavoro, faccio sempre la metafora dell’onda. Il dolore è come un’onda, tanto più è grande, profondo il dolore, tanto più sarà alta quest’onda e dinanzi ad un’onda alta 10 m, la reazione più tipica che avremmo tutti è quella di fuggire.
Nel percorso di elaborazione di un vissuto doloroso o di un lutto, avviso la persona che l’obiettivo è rimanere davanti a quest’onda, affrontarla, consapevoli che le prime volte farà male e butterà la persona a terra, ma se c’è fiducia nel terapeuta e si decide di rimanere e di rialzarsi, ogni volta farà meno male. Il mare non resta mosso per sempre, le onde piano piano si abbassano, perdono di potenza e si può imparare delle strategie per rimanere meglio in piedi.
E’ importante affrontare il proprio dolore, guardarlo negli occhi, dargli voce, farlo uscire, comprenderlo, rispettarlo. Scappare, evitare, chiudere le emozioni a chiave dentro di noi, potrebbe rivelarsi un palliativo istantaneo, ma a lungo andare quell’emozione troverà il modo di uscire e di ripresentarsi, magari sotto forma di tsunami.



